C’era un tocco di Taranto in quella nazionale che trionfò a Berlino. In panchina a “sorvegliare” Marcello Lippi c’era infatti Francesco Tagliente, prefetto nativo di Crispiano e tarantino nel cuore che alla sua terra continua a essere legato. Tagliente fu chiamato a guidare la delegazione azzurra nella veste di responsabile della sicurezza.
Quel 9 luglio 2006, esattamente quattordici anni fa, sul prato dell’ Olympiastadion si alzarono anche le sue braccia a celebrare un successo tanto straordinario quanto inatteso. Ma di quella spedizione mondiale, a distanza di ormai così lunghi anni, Tagliente ricorda un episodio che andava oltre l’aspetto puramente calcistico: l’omaggio della Nazionale Azzurra alle migliaia di italiani prigionieri di guerra, internati e lavoratori civili, che riposano al Cimitero Militare italiano d’Onore di Amburgo.
«La mattina del 22 giugno – ricorda il prefetto a TarantoBuonasera – alla vigilia dei tormentati ottavi di finale ad Amburgo, mentre Marcello Lippi preparava gli azzurri per la sfida contro la tosta Repubblica Ceca, i vertici della FIGC dimostrarono la più alta sensibilità istituzionale immaginabile. Giancarlo Abete, Francesco Ghirelli, Gabriele Gravina, Demetrio Albertini, Gigi Riva, Antonello Valentini, Gianni Nave e alcuni poliziotti italiani e tedeschi in uniforme, portarono un cuscino di fiori al Cimitero Militare italiano d’Onore dove sono custodite le spoglie di 5.839 italiani deceduti dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale fino al 15 aprile 1946, traslati dai territori dello Schlewig-Holstein, Bassa Sassonia, Amburgo, Brema, Hannover e della Westfalia».
«Fu una grande emozione – ricorda Tagliente – vedere affiancati i poliziotti tedeschi e quelli Italiani in divisa, mentre il Tricolore italiano veniva issato sul pennone. E fu grande e gratificante anche l’impegno per convincere le Autorità tedesche a far partecipare anche i poliziotti tedeschi in divisa cerimonia di alzabandiera in omaggio ai nostri soldati catturati e deportati in Germania dall’esercito tedesco».
L’emozione di Francesco Tagliente tocca le corde di aspetti anche molto personali: «Nel corso della cerimonia si ebbe modo di ricordare che dopo l’armistizio siglato dall’Italia con gli anglo-americani, oltre 650.000 militari italiani, dislocati in Italia o nelle zone d’occupazione, furono fatti prigionieri dai tedeschi ed internati in campi di concentramento. Tra quei deportati – aggiunge – c’era anche mio padre Donato».
Quella commemorazione del 2006 ha per Tagliente un valore morale e civile altissimo: «È una pagina da non dimenticare anche per i gesti eroici dei nostri soldati a lungo purtroppo trascurati benché fosse noto a tutti che dopo la proclamazione dell’Armistizio, soldati e ufficiali vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo in pochi accettarono l’arruolamento. Gli altri vennero considerati prigionieri di guerra. In seguito cambiarono status divenendo “internati militari italiani” per non riconoscere loro le garanzie delle Convenzioni di Ginevra, e infine, dall’autunno del 1944 alla fine della guerra, lavoratori civili, in modo da essere utilizzati come manodopera coatta senza godere delle tutele della Croce Rossa spettanti invece per i Kriegsgefangenen, appunto i prigionieri di guerra. Uno sfruttamento come forza lavoro in condizioni disumane, con turni massacranti e un regime alimentare decisamente insufficiente. Molti furono vittime delle incursioni aeree inglesi o americane, ma la maggior parte dei decessi fu causata dalle malattie o dalla scarsa e cattiva alimentazione che portò molti giovani al deperimento organico, fino alla loro morte. Furono migliaia i soldati italiani che persero la vita nei lager tedeschi. I deceduti vennero sepolti nei cimiteri all’interno, o nei pressi dei lager, ma molti furono inumati anche nei cimiteri comunali, in reparti separati dalle altre sepolture, nelle località dov’erano impiegati presso i comandi di lavoro esterni. Altri ancora finirono in fosse comuni, o in sepolture che ne resero impossibile l’identificazione».
Dal ricordo di quel gesto al Cimitero Militare all’apoteosi di Berlino: la famigerata espulsione di Zidane, il rigore decisivo di Grosso, la coppa alzata al cielo da capitan Cannavaro. Dietro le quinte, ma non troppo, c’era lui: Francesco Tagliente.
Un ruolo, il suo, interpretato come “servente” alle esigenze del Commissario Tecnico e della Squadra: «Tempo dopo, in un incontro alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, scherzando sul mio ruolo ai Mondiali, Marcello Lippi disse divertito: “Tagliente era seduto sempre accanto a me in panchina e decideva lui le mosse da fare”. Una battuta emblematica dello spirito di squadra e di amicizia che portò al trionfo mondiale».
Enzo Ferrari
Direttore Responsabile